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Questo
mio lavoro è il tentativo di dare una risposta, almeno in linea teorica, agli
interrogativi in cui più volte, nella mia esperienza di volontario con le
famiglie Rom in sosta a Taranto, mi sono imbattuto. Nel capoluogo jonico i
gruppi Rom, quello rumeno e quello montenegrino, vivono in masserie abbandonate
e rifuggono dal contatto con i gagè; quello macedone, più socievole, vive in
fatiscenti abitazioni, conservando la tradizione “delle mura domestiche” di
Suto Orizari, una municipalità vicina a Scopije, abitata interamente da Rom,
l’unica al mondo ad avere un sindaco Rom e un euro-parlamentare Rom. Spesso mi
sono chiesto cosa comporti “fare da ponte” non solo fra la comunità zingara e
quella maggioritaria dei gagè, ma anche fra i servizi che sono essi stessi
portatori di culture vivaci e spesso in contrapposizione tra loro. Riflettendo
sulle mie conversazioni con mons. Piero Gabella (Direttore Nazionale
dell’Ufficio per la Pastorale dei Rom e Sinti della Fondazione Migrantes, vive
in roulotte all’interno di un campo zingari) e sugli incontri personali con una
famiglia Rom, mi sono convinto che quanti si occupano o intendano occuparsi
della mediazione tra gli zingari e le istituzioni, debbano conoscere l’ambito e
le persone per le quali vogliono operare, le quali, a loro volta, per ricevere
un beneficio, non devono sacrificare libertà e dignità, obbligandosi a fingere
atteggiamenti e modi di ragionare che non gli appartengono. Per queste ragioni,
ho deciso di frequentare con i volontari della Fondazione Migrantes i Rom in
sosta a Taranto, con lo scopo di conoscere il loro mondo in profondità e da
un’altra ottica. In questo modo mi sono ritrovato a rivalutare la prospettiva
sistemica con cui osservavo le relazioni fra le famiglie zingare, ma anche
quelle esistenti fra le stesse famiglie e i servizi, con particolare riguardo a
quelli della salute. Con l’esperienza diretta ho potuto allargare l’orizzonte
delle conoscenze teoriche sul popolo zingaro e approfondirle mediante un’ ampia
e accurata ricerca bibliografica sulle rappresentazioni che sono state fatte di
questa minoranza nella letteratura contemporanea. Operando in questa direzione
mi sono reso conto che degli zingari, dei quindici milioni di zingari sparsi
sul pianeta, dei novemila zingari in Europa, dei centotrentamila zingari in
Italia, continuiamo a sapere ancora molto poco, facendo riscontrare scarso
interesse e, di conseguenza, un deficit di responsabilità. A Roma, come a
Parigi, a Boston o a Budapest, a prescindere se sia in posizione di regolarità
con le leggi nazionali o meno, lo zingaro resta di fatto lo “straniero” per
eccellenza, soggetto a pregiudizi o a discriminazioni, colui che trova più
ostacoli nel percorso di integrazione, certamente poco tutelato dal punto di
vista giuridico e sociale. Anche il tema della salute, oggetto del mio
approfondimento, è attraversato da atteggiamenti e sentimenti negativi e, non
sempre, è stato affrontato nel pieno rispetto delle libertà individuali e delle
specificità culturali, legate alla grande eterogeneità di etnie e gruppi di
appartenenza. Il popolo zingaro è composto da realtà differenti: Rom, Sinti,
Kalè e Camminanti, con ulteriori suddivisioni, secondo la razza d’origine e i
mestieri propri a ogni gruppo (es. Rom Kalderash = calderaio). E’ davvero una
provocazione per la cultura occidentale che ha sempre avuto l’ambizione di
indagare a fondo, con sistematicità e ampiezza di visione e prospettiva, ogni
aspetto della storia e della cultura dei popoli. Nell’esposizione che segue ho
voluto ripercorrere il tema della salute dei Rom partendo dalla messa a fuoco
dell’identità e del sistema culturale. Nella seconda parte, ho posto l’accento
sui concetti di salute e di malattia, intesi non come entità ma come modelli
esplicativi della cultura Rom. Nella terza parte ho cercato di rendere più
stretto il legame fra i due argomenti mediante un adeguato approccio
comunicativo-professionale, per ottenere risultati positivi e avvicinare le
persone e le famiglie zingare ai servizi per la salute.Questo modo di operare e
di interagire con l’alterità zingara mi ha portato a concludere che i Rom, come
ogni comunità umana, quando sono emarginati ed esclusi economicamente e
socialmente, sviluppano delle malattie fisiche e sociali; di conseguenza, come
con tutte le comunità emarginate, la soluzione non sta nel puntargli il dito
contro, ma nel cercare rimedi validi alle cause vere delle loro malattie,
attraverso dialogo, partecipazione e ricerca di soluzioni concordate per un
inserimento sociale, economico e culturale giusto e sostenibile.